01 Mar Ricordi, riflessioni, fatti, momenti di vita
40 anni, dovunque si voglia collocarli, sono tanti, sono una vita!
Anche 40 anni i gelato lo sono, e chi li ha vissuti non puo’ fingere che sia stata solo una parentesi di cui serbare qualche ricordo più o meno bello.
Chi li ha vissuti, ha dato e avuto secondo proprie e altrui possibilità in un bilancio personale e collettivo sempre in fase di discussione e verifica, a volte soddisfacente e a volte no.
Niente di strano in tutto questo, è vita e storia di tutti i giorni e di tutti noi…… è la vita!
E allora che cosa hanno di speciale questi 40 anni di gelato? Se ci poniamo la domanda in questi termini, la risposta è probabilmente molto semplice e definitiva: non c’è niente di speciale!
Ma se la domanda è:”cosa rappresentano questi 40 anni per ciascuna persona che li ha vissuti almeno in buona parte”, allora le risposte possono diventare tante, magari sotto forma di ricordi di persone o di avvenimenti.
Allora vorrei anch’io contribuire a questa raccolta di ricordi che aiutino me stesso a non perdere la memoria del passato e possano magari offrire ulteriori spunti a chi vorrà leggerli ed eventualmente commentarli.
Sono ricordi personali, è la mia storia personale, ma è comunque legata a persone, fatti e situazioni ambientali legati soprattutto alla prima parte di questi 40 anni.
E’ uno spaccato di quel periodo e allora…. Partiamo con la macchina del tempo!
LA PRIMA VOLTA
Siamo nella prima metà degli anni ’60!Prima esperienza lavorativa: operaio stagionale apprendista, campagna del pomodoro, tariffa contrattuale 68 lire/ora, per un numero indefinito di ore settimanali. Non erano tanti, ma erano i “miei primi sudati guadagni”. Il mio compagno di avventura, un altro studente operaio, mi racconta che il suo sport preferito è il baseball, anzi gioca in una squadra che si chiama … “TANARA”. Buffo dirlo adesso, ma allora, la mia domanda fu: “Tanara?! Cosa significa Tanara?” – “ E’ una fabbrica di gelati della città.” La spiegazione, sintetica ma esauriente, non suscitò nessuna emozione particolare. Ricordo solo che poi ogni tanto si scherzava dicendo che gli stagionali di Tanara potevano mangiare i gelati gratis e non invidiavano certamente noi che potevamo vantare assaggi gratuiti di pomodori e relative conserve! Tutto qui, mai e poi mai avrei immaginato che dopo qualche anno sarebbe cominciato il mio lungo e intenso rapporto con la mitica “Tanara”, ma così fu.
L’INIZIO
Terminati gli studi con diploma in “tecnologie alimentari” (era destino!) e archiviato il servizio militare con una lunga e onorata carriera come sottufficiale di Marina, contrariamente ai programmi che prevedevano un buon periodo di riposo ed orientamento, succede qualcosa.
Dopo una sola settimana di relax, una mia amica, vicina di casa, nel frattempo assunta come “impiegata” alla Tanara in qualità di analista, regina incontrastata del laboratorio di analisi (la mitica Katia) mi dice : “perché non fai domanda da noi, so che hanno intenzione di fare un laboratorio per il controllo qualità e con il tuo tipo di studio forse ti prendono”. – “perché no?! Accantoniamo i programmi originali e proviamo!”.
IL COLLOQUIO
Grazie all’interessamento di Katia (anche ancora grazie) e accompagnato in via Bernini da un signore che conosceva l’ambiente, vengo ammesso ad un colloquio con il signor Marazzi.
Il signor Marazzi, una figura imponente che incuteva soggezione, era il “Direttore di Produzione e Tecnico” ; dominava tutto e tutti dall’alto della sua personalità e della sua “postazione”.Il suo ufficio il “Santuario”, era infatti edificato in fabbrica su un soppalco posto in posizione strategica, in alto, circondato da ampie vetrate che gli consentivano una panoramica completa della sala lavorazione. Insomma, per tutti era il Signor Marazzi, per i piu’ anziani il Signor Giuseppe, e per i piu’ arditi (pochi) era “Peppone”, ma l’affettuoso appellativo veniva pronunciato con circospezione e profondo rispetto. Ogni volta che ti mandava a chiamare avevi il tempo, salendo le scale del “santuario” di fare l’esame di coscienza e per dirla alla Marzullo, di farti le domande e darti le risposte. Ma veniamo al colloquio; ricordo che fu brevissimo e che, manco a dirlo, fece tutto lui: “mi è stata segnalata la sua domanda con il suo curriculum; il suo titolo di studio è proprio indicato per lavorare qui, peccato che abbia appena assunto due periti come lei proprio la settima scorsa! Se fosse passato prima!… Però se vuole possiamo vedere di assumerla come operaio stagionale, stiamo cominciando la campagna”. Un’attimo di sgomento ed una rapida ricerca mnemonica: chi potevano essere quei due “fetenti” che mi avevano fregato il posto? Avrei dovuto conoscerli perché all’epoca il mio titolo di studio veniva rilasciato solo all’Istituto Statale di Forlì. Per la cronaca ho cercato a lungo e invano, in seguito, di individuare i due fortunati, ma nessuno li aveva mai visti né sentiti! Che fosse stata una balla? Superato comunque l’imbarazzo e ripresa in mano la situazione, risposi deciso: “va bene- quando posso cominciare?” “domani! Passi all’ufficio personale.”
Fine del colloquio!!!!
Ripensandoci è proprio singolare come a volte in pochi secondi si possa prendere la decisione della vita: un semplice si o un semplice no pronunciati in un momento particolare, magari senza porsi troppi interrogativi, possono condizionare il tuo futuro da quel momento in avanti.
Ma ormai, anche se non me ne rendevo conto il mio futuro incrociava definitivamente con quello della Tanara.
L’INIZIO
All’ufficio personale, allora ubicato al piano – 1 della palazzina, mi viene consegnato un cartellino con sopra scritto “freezerista”; non so cosa significa e non lo chiedo nemmeno: mica posso fare la figura dell’ignorante proprio all’inizio! Tuttavia l’impiegato che mi fornisce le prime istruzioni, un giovane ragioniere occhialuto, è rassicurante e sembra molto disponibile; ho saputo dopo che non era il capo ufficio, ma si vedeva già la … stoffa; non a caso è diventato in seguito il mitico ragionier Mario Grassani, impavido capo del personale, pronto a tutte le esperienze e resistente a tutte le intemperie!
L’UFFICIO VESTIARIO
Il primo impatto è con il sorriso smagliante e solare della Loires, ( successivamente denominata Donna Loires). Bella presenza, anzi… bella donna! I ben informati dicevano che era lei la vera comandante; io non so se era vero, ma vero è che riusciva sempre a fare e a far fare quello che voleva lei! In fatto di leadership non temeva confronti. Dopo l’interrogatorio di rito, la consegna del vestiario: tutta blu – due magliette bianche – stivali di gomma – grembiule di plastica – cappellino di stoffa (stretto!). E pensare che da studente sognavo un bel camice bianco. Ho poi scoperto che il camice bianco era allora un privilegio riservato esclusivamente al signor Marazzi, al dr. Trasatti e al dr. Agnetti con deroga per la Katia che era in laboratorio; nessun altro e per nessuna ragione poteva avanzare pretese in tal senso! Il colore degli altri camici, segno del comando era “blu” per i due capi fabbrica e per il capo dell’ufficio tecnico (signor Beccari), e “grigio” per gli assistenti di produzione. Ogni volta che qualcuno “conquistava” un camice, il commento piu’ diffuso era: “Ela’, n’etar ch’an farà pu’ nienta!”
L’IMPATTO CON IL MONDO DELLA FABBRICA
Avendo alle spalle varie esperienze da studente stagionale, l’impatto non è stato particolarmente traumatico; ricordo che invece avevo molta curiosità. Il gelato lo avevo sempre gustato molto volentieri ma non mi ero mai chiesto come si facesse a farlo in una fabbrica. Ma andiamo con ordine. Il primo impatto è con le persone, ma il primissimo è con il capo fabbrica del mio turno, il sig. L.Bolzoni , dopo aver visto il suo collega anziano dell’altro turno, il burbero signor Grignaffini, per tutti lo “zio” ma di quegli zii che facevano soggezione, specie e non me ne vogliano, alle donne. Per loro era “il sior Aldo”, il “rude” Sior Aldo, che si esprimeva in dialetto e non ammetteva repliche (ma alla fine, come tutti, era una brava persona!). Il signor Bolzoni invece si esprimeva in italiano corretto ed era molto giovane. Cavolo, così giovane e così capo fabbrica. Ma in barba ai bei modi l’amico Luigi, ora posso chiamarlo così, mi rifila per tre giorni in cella di pallettizzazione:
-25°C, sconosciute scatole di gelato di vario tipo, barattoli da sei litri rotolanti; dentro alla divisa da cellista…. Sudavi, fuori avevi i ghiaccioli sotto il naso e nelle sopracciglia, con l’aggravante maledetta degli occhiali appannati e congelati; nelle orecchie il rumore sordo delle scatole che lasciavi cadere per terra e i “vaffan culo” piu’ o meno affettuosi dei colleghi piu’ esperti che dovevano raccoglierle.
Non male come inizio! Ma per che cosa mi sono dato tanto da fare a studiare! Comunque ci voleva altro per scoraggiare un vecchio lupo mare! Infatti con il ritorno alla temperatura ambiente della fabbrica le cose migliorarono. All’inizio l’apprendimento dei “percorsi di fabbrica” con il compito di rifornire costantemente di cialde imbussolate la “Vexino dei coni” (80-100 pezzi al minuto) condotta magistralmente dalla signora Elena, capomacchina, occhi azzurri, sempre gentile e con la cuffia candida e inamidata. Allora le cialde si producevano “in casa” e si imbussolavano a mano. Ricordo che le addette all’imbussolamento, mulinavano le mani in modo talmente veloce che non si vedevano; però si sentivano le loro voci… eccome se si sentivano! Ma il signor Bolzoni, che evidentemente aveva intuito il mio potenziale, mi disse che era venuto il momento di imparare a far funzionare i freezers. Ah! Ecco perché sul cartellino c’era scritto “freezerista”!
IL FREEZERISTA
Questa figura professionale merita un po’ di approfondimento. Il freezerista era lo specialista, era quello che compiva il miracolo di trasformare la miscela liquida in gelato e gli dava una forma. Era quello che “non tutti sono in grado”. Insomma era quello che tra le popolazioni della Savana rappresenterebbe il “maschio dominante”. Era anche il maestro dei novellini, il formatore di linea.
Anch’io ho avuto il mio maestro ma, contrariamente al ruolo, era poco incline al dialogo approfondito:”tu fai troppe domande!” – mi diceva -“guarda come faccio, fai quello che dico io e basta!” L’avete conosciuto? Era il grande……, un capo nato! Un capo che non doveva chiedere mai, perché lo sapeva lui cosa fare!”
AVANTI
Ma questa esperienza fu di breve durata infatti, detto fra noi, non ho mai imparato a fare il freezerista! Il Fato aveva deciso diversamente: arrivò improvvisa e inattesa la chiamata su…. al Santuario, al cospetto del Direttore Tecnico! “Ho bisogno di uno con le sue caratteristiche alla preparazione miscele, mi serve nel turno di notte; lì ci vuole uno con “quattro occhi” e lei ce li ha, visto che porta gli occhiali!…Ah Ah Ah ! va bene?” e chi avrebbe avuto il coraggio di dire di no?!
IL REPARTO MISCELE
Rapido addestramento diurno, questa volta con due maestri, uno Cesare Carpena, molto fraterno, preciso, ordinato, paziente e prodigo di consigli; l’altro, Renzo Colla, tecnicamente molto preparato, ma anche molto “birbantello”, con atteggiamenti del tipo “te la do io la miscela!”, ma dopo un po’ di frequentazioni e dopo avergli fatto compiere un giro gratuito dentro la tostatrice delle nocciole pralinate (allora non c’era la L.626.) siamo diventati amici di lunga durata, e lo siamo ancora.
Fu un’esperienza elettrizzante: molta attenzione, grande responsabilità e molto spirito di gruppo; eravamo quattro gatti, ma producevamo ogni notte 700/800 q.li di miscela. E’ certo che ci voleva un “fisico bestiale” … temperatura ambiente tipo fornace e si sballottavano a mano decine e decine di sacchi di zucchero (50 kg.cad.) e di latte in polvere (25 kg. Cad.), mica c’era il trasporto pneumantico dai silos! E i blocchi di frutta surgelata (25 kg. Cad.) si sbriciolavano prendendoli a mazzate con martelli e mazze da 5 e 10 kg. Mica c’erano le “passate di frutta omogeneizzate”, e aspirate con pompe da cisternette in asettico! E per calcolare le variazioni rispetto alle ricette tipo, avevo in dotazione un quaderno e una biro; la calcolatrice tascabile è giunta sul mercato molto piu’ tardi! Era un gran … caos, ma “bellissimo”! A differenza di altre attività piu’… meditative, ti dava giorno per giorno la consapevolezza e la misura del tuo contributo alla causa comune.
LA CAUSA COMUNE
Anche se non si parlava di causa comune, era forte lo spirito di appartenenza; almeno è quello che ricordo di avere percepito; ci sta tutto il concetto di modello famiglia, anche se di famiglia con qualche problema. Ad esempio ricordo i due blocchi: gli operai e gli impiegati, con il “noi/voi” sempre premesso come distintivo prima di ogni approccio di tipo sociale e sindacale.
Questa differenza veniva prepotentemente a galla in occasione degli scioperi.
Gli operai uniti e compatti per gli scioperi e gli impiegati sempre contrari e semmai solo tacitamente d’accordo.
Ma quando c’erano i picchetti, allora non entrava nessuno, Dirigenti a parte, seppure con mugugni e qualche insulto. Ricordo che uno dei pochi che riuscivano ad entrare con una certa regolarità era M.Grassani, perché glielo imponeva il suo ruolo. Ma il giorno dopo… tutto tranquillo!
E poi ogni tanto c’erano le famose sfide calcistiche “scapoli” contro “sposati”, e lì l’etichetta impiegato o operaio non contava piu’ niente; bisognava vincere e basta.Anzi era l’occasione per livellare le distanze gerarchiche e poi forniva lo spunto per rifilare qualche “innocente” scarpata o gomitata, regolarmente accompagnate da formali scuse ma comunque poco credibili!
LE CONQUISTE
In quegli anni c’era un certo fermento sul fronte contrattuale, ma non è questa la sede per farne un’analisi ed elencare tutte le conquiste realizzate. Ne ricordo comunque una importante: il passaggio dalle 48 ore settimanali alle 40, che liberava il sabato a beneficio della qualità della vita.
Un’altra conquista fu l’apertura del “locale mensa”. Attenzione! Non ho detto “mensa”! si trattava di un locale (l’attuale) dotato di qualche tavolo, sedie e un capiente scaldavivande a bagnomaria.
Chi voleva poteva portarsi da casa il pentolino (o gavetta) a doppio fondo con primo e secondo riscaldabili. Tramontava così il distributore automatico di “panini” che erano strane preparazioni alimentari costituite da micche di pane marmorizzate, “farcite” con una fetta di prosciutto secco. Ma soprattutto non c’era piu’ motivo di fare i turni nella stanza del distributore o di improvvisare pic-nics sul prato antistante; immagine bucolica, magari gradevole col beltempo, ma problematica in caso contrario.
Infine vorrei ricordare l’apertura dello spaccio. Fu un grosso successo, un’innovazione molto apprezzata. Allora si consegnava la lista della spesa scritta su un modello prestampato, al mitico Celso Peracchi, spaccista provetto oltre che scrittore, poeta e portiere della squadra degli sposati, e poi si ripassava dopo due giorni a pagare e a ritirare il pacco. Per certi versi era anche comodo, ma limitava molto l’acquisto di impulso e il piacere della scelta personale.
RITORNIAMO AVANTI
Intanto piano piano prendeva forma il laboratorio Ricerca e Sviluppo del dr. Trasatti, e la profezia della Katia si avverò. La mia dedizione era stata premiata. Posso vantarmi di essere stato il primo e solo dipendente della Ricerca e Sviluppo; i miei compiti spaziavano a tutto campo dall’impianto pilota ai lavori di segreteria; avevo anche imparato dalla Loires a fare i gelati finti per le foto pubblicitarie. Ma ogni tanto la “voce” dal santuario mi ripescava e mi riportava in fabbrica ad arricchire la mia esperienza professionale: operatore cip, denominato allora “il rischiatutto” perché ogni volta che premevi il pulsante non eri sicuro del risultato; e poi assistente di fabbrica ecc…..
Finchè una convocazione in santuario, questa volta più tosta del solito, comportò una tanto brusca quanto importante accelerata alla mia attività professionale. Era un venerdi sera…. L’ora più giusta! Il colloquio, come al solito senza fronzoli e svolazzi vari: “non vorrai mica continuare a fare gelati per le foto tutta la vita, no?! “ – “ dobbiamo partire con la Tanara Sud a Benevento e mi serve anche uno con il tuo tipo di esperienza, c’è da far partire il laboratorio e da organizzare i controlli dei materiali e dei prodotti finiti. Per te è una opportunità irripetibile; te la senti? Io dico di si! “ Anche questa volta, come tutte le altre, chi se la sentiva di dire di no! “per quanto tempo?” fu la mia risposta,- “due anni !” – “non si potrebbe fare due campagne” – “ e va bene, facciamo due campagne”. E infatti furono poi … quasi tre anni!
LA TANARA SUD
La Tanara decide di crescere su tutto il territorio. Il marchio è ormai affermato e lo stabilimento di via Bernini comincia ad essere stretto rispetto al mercato. Sembra quasi ovvio avviare una fabbrica al sud per rifornire anche quel mercato da posizioni più vantaggiose. La scelta cade su Benevento, città storica della Campania, ubicata nel cuore del Sannio, con nobilissimi trascorsi storici di epoca romana e poi capitale Longobarda del Principato che inglobava mezzo sud. Per i più ignoranti come me pero’, Benevento era nota per il celebre liquore “Strega” e suoi derivati. La Tanara Sud è stata costruita con le migliori tecnologie dell’epoca, con il contributo determinante degli amici dell’ufficio tecnico, mentre un gruppo di giovani beneventani veniva “formato” a Parma. Lo stabilimento di via Bernini diventa la Fabbrica Madre e per forza di cose il serbatoio da cui attingere risorse ed esperienza da dirottare in terra sannita.
E così si parte; siamo un bel gruppo, ciascuno di noi preventivamente convocato e “convinto” dal signor Marazzi.
Ognuno ha un preciso compito personale, ma tutti l’impegno a collaborare con gli altri; serve la classica “squadra”. E’ un’esperienza eccezionale di cui se ne potrebbe scrivere un libro ma non è questa l’occasione. Lo è sia sul piano umano che su quello professionale, sia individuale che di gruppo. Ho sempre detto che tre anni così ne valgono 15 di “normalità”, e lo penso ancora.
Lo pensano anche tanti amici e colleghi che hanno vissuto da protagonisti questa esperienza. In poche parole siamo partiti giovani e siamo tornati adulti e vaccinati, anche se qualcuno adulto lo era già, vero caro Maestro di tutti noi Gino Azzali? E oggi sono ben contento della stima e dell’amicizia reciproca che sono rimaste con tanti amici a Benevento.
LA STORIA CONTINUA
Per la Tanara cresciuta, arriva un’altra svolta: la fusione con Motta e Alemagna Gelati. Meraviglia delle Meraviglie! Nasce un polo gelati potenzialmente dirompente. Ma in realtà le vicende della vita portano ad un periodo molto duro, difficile, con problemi talmente grandi della cui gravità non tutti ce ne rendevamo conto. Abbiamo rischiato proprio molto!
Nel frattempo terminate le mie importanti esperienze sono riapprovato in fabbrica a Parma, come Responsabile dell’Assicurazione Qualità di Stabilimento, la posizione che avevo sempre sognato!
E’ stato un periodo lungo (14 anni), con aggiunta di altri incarichi (troppa roba!), durante il quale insieme a tanti amici/colleghi abbiamo potuto vivere la rinascita e l’esplosione della ITALGEL, la grande ITALGEL, quella dei Gruppi P.E.Q. , quella dell’Antica Gelateria del Corso, quella che ha annichilito l’arrogante concorrenza, quella per cui ci metti del tuo e … lo fai volentieri.
Ma la storia insegna che se sei bravo e se “fai utile” diventi appetitoso e così quando qualche politico illuminato ha deciso che gli utili prodotti dalla “statale Italgel” non erano più strategici siamo diventati appetibili per grandi gruppi industriali.
Chi sbaraglia la concorrenza è Nestlè che ci acquisisce e ci inserisce nella sua struttura come “Divisione Gelati e Surgelati”. Inizia un’altra storia, l’appartenenza al più’ grande gruppo alimentare del mondo, ma questa non è ancora … storia, è attualità. E allora 1000 auguri per i prossimi tanti anni!!
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