In magazzino…

In magazzino…

Mi è piaciuto lavorare qui sin dal primo giorno, quando Mario Grassani mi ha mandato in un buco che chiamavano ufficio e dove, in mezzo alla nebbia di 100 MS c’erano i fratelli Karamazof (così li chiamavano Poldo ed Egisto Fiordispini) ho iniziato un’’avventura che dura ancora oggi.

Poldo, il capo, fra un  morso e l’altro della lingua e la battuta  sempre pronta, mi ha insegnato a far quadrare i conti del magazzino, mentre Egisto mi raccontava i suoi aneddoti di vita vissuta.

Al primo trasloco mi sono trovata un quadrato di ferro, dove d’inverno gelava l’acqua e in estate con la stessa acqua ci facevamo il the. Lì lavoravano Gianni Sorba, rinsecchito dalle sigarette che fumava e che dava un soprannome a tutti: sembrava burbero, ma era buono come il pane. Mario Arneodo si è presentato  dicendo che lui tanto andava in pensione, invece insieme abbiamo passato  otre 10 bellissimi anni, in cui ho imparato il dialetto “di là dall’acqua” e mi faceva sempre tanti complimenti e diceva “ah, se non ci fosse Mazzabubù’”.

Poi c’era Buson Guerino, veneto, che parlava in veneto, e aveva sempre in mente la signora Buson, quando tornava dalla mensa dopo un litro di rosso con le guance  fosforescenti. Ma c’era anche Agonia, che ancora non lo era, perché era giovane, non ancora sposato e non ancora responsabile di qualcosa: portava a spasso il suo carrello come fosse una bicicletta e diceva che come lui non c’era nessuno (sto parlando di Domenico Anghinolfi per chi non avesse compreso…) E come non ricordare  Aldo Ghidini, che andava a letto prima delle sue galline e faceva l’amore  con la Mariella solo il sabato, perché il giorno dopo poteva dormire di piu’. Ughetto Casana era un lavoratore instancabile, con il suo passo lento e cadenzato, riconoscibile  in distanza, per lui il magazzino non aveva segreti. Terzi Armando soprannominato da Mario Arneodo “patatruc” sempre col sorriso sulle labbra, nel suo dialetto della “bassa” quando si arrabbiava diceva “me vag a ca’”!

C’era anche Ferri Ettore che aveva un coltellino a roncoletta con cui faceva tutto, tagliava le reggie ai bancali, apriva le scatolette del tonno, mangiava il gelato.

E che dire di Capelli Giovanni e Poletti Rino, i nostri autisti personali, andavano su e giu’ per l’Italia ad ogni esigenza e sempre puntuali. Giovanni, ad ogni rientro , mi diceva sempre che io i figli non li sapevo fare, per questo dicevo a tutti che non ne volevo, che mattacchione! Rino, un vero e proprio maestro della grigliata, sempre disponibile per le iniziative del Cral.

Ricordo con nostalgia  Pietro Notari l’uomo piu’ educato e discreto che sia passato di qua.

Ma un pensiero malinconico va al mio caro Tullio Zanin che non ha mai potuto godere la sua sognata pensione e non ha mai potuto fare i viaggi dei pensionati per anni pensati.

Me li ricordo proprio tutti com’erano, disponibili e allegri e mi rendevano le giornate meno lunghe e noiose. Ho avuto fortuna a lavorare con queste persone.

 

 

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